Questo è il Libro. La Bibbia del fotografo. Quel libro che anche chi ha Instagram sull’Iphone (ma perché cazz usi Instagram?!) dovrebbe aver letto 5 o 6 volte. Sono stata folgorata da questo libro.. Era il lontano 2009, quando una giovane affascinante studentessa di filosofia…. va bé, non ve ne frega una cippa, lo so.
Ehm, dicevo. Ah già, la Bibbia della Fotografia. Sì, Fotografia con la F maiuscola, perché è di questo tipo di fotografia che parla Barthes, con tocco delicato, con la curiosità che lo contraddistingue, la curiosità di un bambino che sbircia dal buco della serratura senza il coraggio di aprire la porta. Fotografia come espressione culturale, come forma d’arte (dai, ma perché cazz usi Instagram?!)
Tra gli spunti più interessanti di questo libro, certamente vale la pena citare la distinzione che fa Barthes tra studium e punctum. Lo studium è quella sorta di interessamento, culturale e non, a una fotografia o a un fotografo, una sensazione di gusto, ma senza particolare intensità, un desiderio noncurante. Pensate a quante immagini vediamo tutti i giorni, per la strada, in metro, su Internet: ci interessiamo – se ci interessiamo – a queste fotografie e partecipiamo ad esse ma manca qualcosa. Come dice Barthes: sono io che vado in cerca di lui. Ma esiste qualcos’altro. Esistono altre immagini, fotografie o particolari che ci trafiggono, letteralmente, che ci pungono, ci feriscono come una freccia. Ecco, questo è il punctum. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge, mi ferisce, mi ghermisce. E’ un sottile fuori-campo, come se ci fosse qualcosa al di là di ciò che dà a vedere l’immagine.
Ogni fotografia può essere oggetto di studium, ma non tutte possiedono il punctum.
E quindi? A lavoro, forza, scatta scatta scatta!
Self Portrait – Robert Mapplethorpe